Intra li effetti de la divina sapienza l'uomo è mirabilissimo, considerato come in una forma la divina virtute tre nature congiunse, e come sottilmente armoniato conviene esser lo corpo suo, a cotal forma essendo organizzato per tutte quasi sue vertudi. Per che, per la molta concordia che 'ntra tanti organi conviene a bene rispondersi, pochi perfetti uomini in tanto numero sono. E se così è mirabile questa creatura, certo non pur con le parole è da temere di trattare di sue condizioni, ma eziandio col pensiero, secondo quelle parole de lo Ecclesiastico: "La sapienza di Dio, precedente tutte le cose, chi cercava?", e quelle altre dove dice: "Più alte cose di te non dimanderai e più forti cose di te non cercherai; ma quelle cose che Dio ti comandò, pensa, e in più sue opere non sie curioso", cioè sollicito. Io adunque, che in questa terza particola d'alcuna condizione di cotal creatura parlare intendo, in quanto nel suo corpo, per bontade de l'anima, sensibile bellezza appare, temorosamente non sicuro comincio, intendendo, e se non a pieno, almeno alcuna cosa di tanto nodo disnodare. Dico adunque che, poi che aperta è la sentenza di quella particola ne la quale questa donna è commendata da la parte de l'anima, da procedere e da vedere è come, quando dico Cose appariscon ne lo suo aspetto, io commendo lei da la parte del corpo. E dico che ne lo suo aspetto appariscono cose le quali dimostrano de' piaceri di Paradiso. E intra li altri di quelli lo più nobile e quello che è inizio e fine di tutti li altri, sì è contentarsi, e questo si è essere beato; e questo piacere è veramente, avvegna che per altro modo, ne l'aspetto di costei. Ché, guardando costei, la gente si contenta, tanto dolcemente ciba la sua bellezza li occhi de' riguardatori; ma per altro modo che per lo contentare in Paradiso che è perpetuo, ché non può ad alcuno essere questo.
E però che potrebbe alcuno aver domandato dove questo mirabile piacere appare in costei, distinguo ne la sua persona due parti, ne le quali l'umana piacenza e dispiacenza più appare. Onde è da sapere che in qualunque parte l'anima più adopera del suo officio, che a quella più fissamente intende ad adornare, e più sottilmente quivi adopera. Onde vedemo che ne la faccia de l'uomo, là dove fa più del suo officio che in alcuna parte di fuori, tanto sottilmente intende, che, per sottigliarsi quivi tanto quanto ne la sua materia puote, nullo viso ad altro viso è simile; perché l'ultima potenza de la materia, la qual è in tutti quasi dissimile, quivi si riduce in atto. E però che ne la faccia massimamente in due luoghi opera l'anima – però che in quelli due luoghi quasi tutte e tre le nature de l'anima hanno giurisdizione – cioè ne li occhi e ne la bocca, quelli massimamente adorna e quivi pone lo 'ntento tutto a fare bello, se puote. E in questi due luoghi dico io che appariscono questi piaceri dicendo: ne li occhi e nel suo dolce riso. Li quali due luoghi, per bella similitudine, si possono appellare balconi de la donna che nel dificio del corpo abita, cioè l'anima; però che quivi, avvegna che quasi velata, spesse volte si dimostra. Dimostrasi ne li occhi tanto manifesta, che conoscer si può la sua presente passione, chi bene là mira. Onde, con ciò sia cosa che sei passioni siano propie de l'anima umana, de le quali fa menzione lo Filosofo ne la sua Rettorica, cioè grazia, zelo, misericordia, invidia, amore e vergogna, di nulla di queste puote l'anima essere passionata che a la finestra de li occhi non vegna la sembianza, se per grande vertù dentro non si chiude. Onde alcuno già si trasse li occhi, perché la vergogna d'entro non paresse di fuori; sì come dice Stazio poeta del tebano Edipo, quando dice che "con etterna notte solvette lo suo dannato pudore". Dimostrasi ne la bocca, quasi come colore dopo vetro. E che è ridere se non una corruscazione de la dilettazione de l'anima, cioè uno lume apparente di fuori secondo sta dentro? E però si conviene a l'uomo, a dimostrare la sua anima ne l'allegrezza moderata, moderatamente ridere, con onesta severitade e con poco movimento de la sua faccia; sì che donna, che allora si dimostra come detto è, paia modesta e non dissoluta. Onde ciò fare ne comanda lo Libro de le quattro vertù cardinali: "Lo tuo riso sia sanza cachinno", cioè sanza schiamazzare come gallina. Ahi mirabile riso de la mia donna, di cui io parlo, che mai non si sentia se non de l'occhio!
E dico che Amore le reca queste cose quivi, sì come a luogo suo; dove si può amore doppiamente considerare. Prima l'amore de l'anima, speziale a questi luoghi; secondamente l'amore universale che le cose dispone ad amare e ad essere amate, che ordina l'anima ad adornare queste parti. Poi quando dico: Elle soverchian lo nostro intelletto, escuso me di ciò, che di tanta eccellenza di biltade poco pare che io tratti sovrastando a quella; e dico che poco ne dico per due ragioni. L'una si è che queste cose che paiono nel suo aspetto soverchiano lo 'ntelletto nostro, cioè umano: e dico come questo soverchiare è fatto, che è fatto per lo modo che soverchia lo sole lo fragile viso, non pur lo sano e forte; l'altra si è che fissamente in esse guardare non può, perché quivi s'inebria l'anima, sì che incontanente, dopo di sguardare, disvia in ciascuna sua operazione.
Poi quando dico: Sua bieltà piove fiammelle di foco, ricorro a ritrattare del suo effetto, poi che di lei trattare interamente non si può. Onde è da sapere che di tutte quelle cose che lo 'ntelletto nostro vincono, sì che non può vedere quello che sono, convenevolissimo trattare è per li loro effetti: onde di Dio, e de le sustanze separate, e de la prima materia, così trattando, potemo avere alcuna conoscenza. E però dico che la biltade di quella piove fiammelle di foco, cioè ardore d'amore e di caritade; animate d'un spirito gentile, cioè informato ardore d'un gentile spirito, cioè diritto appetito, per lo quale e del quale nasce origine di buono pensiero. E non solamente fa questo, ma disfà e distrugge lo suo contrario – de li buoni pensieri -, cioè li vizii innati, li quali massimamente sono di buoni pensieri nemici. E qui è da sapere che certi vizii sono ne l'uomo a li quali naturalmente elli è disposto – sì come certi per complessione collerica sono ad ira disposti -, e questi cotali vizii sono innati, cioè connaturali. Altri sono vizii consuetudinarii, a li quali non ha colpa la complessione ma la consuetudine, sì come la intemperanza, e massimamente del vino: e questi vizii si fuggono e si vincono per buona consuetudine, e fassi l'uomo per essa virtuoso, sanza fatica avere ne la sua moderazione, sì come dice lo Filosofo nel secondo de l'Etica. Veramente questa differenza è intra le passioni connaturali e le consuetudinarie, che le consuetudinarie per buona consuetudine del tutto vanno via; però che lo principio loro, cioè la mala consuetudine, per lo suo contrario si corrompe; ma le connaturali, lo principio de le quali è la natura del passionato, tutto che molto per buona consuetudine si facciano lievi, del tutto non se ne vanno quanto al primo movimento, ma vannosene bene del tutto quanto a durazione; però che la consuetudine non è equabile a la natura, ne la quale è lo principio di quelle. E però è più laudabile l'uomo che dirizza sé e regge sé mal naturato contra l'impeto de la natura, che colui che ben naturato si sostiene in buono reggimento o disviato si rinvia; sì come è più laudabile uno mal cavallo reggere che un altro non reo. Dico adunque che queste fiammelle che piovono da la sua biltade, come detto è, rompono li vizii innati, cioè connaturali, a dare a intendere che la sua bellezza ha podestade in rinnovare natura in coloro che la mirano; ch'è miracolosa cosa. E questo conferma quello che detto è di sopra ne l'altro capitolo, quando dico ch'ella è aiutatrice de la fede nostra.
Ultimamente quando dico: Però qual donna sente sua bieltate, conchiudo, sotto colore d'ammonire altrui, lo fine a che fatta fue tanta biltade; e dico che qual donna sente per manco la sua biltade biasimare, guardi in questo perfettissimo essemplo. Dove s'intende che non pur a migliorare lo bene è fatta, ma eziandio a fare de la mala cosa buona cosa. E soggiugne in fine: Costei pensò chi mosse l'universo, cioè Dio, per dare a intendere che per divino proponimento la natura cotale effetto produsse. E così termina tutta la seconda parte principale di questa canzone.
Convivio – Trattato III – Capitolo VIII
Giugno 4, 2010 Da Lascia un commento
Speak Your Mind