Le rime XLIII

Io son venuto al punto de la rota

Che l'orizzonte, quando il sol si corca,

Ci partorisce il geminato cielo,

E la stella d'amor ci sta remota

Per lo raggio lucente che la 'nforca

Sì di traverso che le si fa velo;

E quel pianeta che conforta il gelo

Si mostra tutto a noi per lo grand'arco

Nel qual ciascun di sette fa poca ombra:

E però non disgombra

Un sol penser d'amore, ond'io son carco,

La mente mia, ch'è più dura che petra

In tener forte imagine di petra.

Levasi de la rena d'Etiopia

Lo vento peregrin che l'aere turba,

Per la spera del sol ch'ora la scalda;

E passa il mare, onde conduce copia

Di nebbia tal che, s'altro non la sturba,

Questo emisperio chiude tutto e salda;

E poi si solve, e cade in bianca falda

Di fredda neve ed in noiosa pioggia,

Onde l'aere s'attrista tutto e piagne:

E Amor, che sue ragne

Ritira in alto pel vento che poggia,

Non m'abbandona, sì è bella donna

Questa crudel che m'è data per donna.

Fuggito è ogne augel che l' caldo segue

Del paese d'Europa, che non perde

Le sette stelle gelide unquemai;

E li altri han posto a le lor voci triegue

Per non sonarle infino al tempo verde,

Se ciò non fosse per cagion di guai;

E tutti li animali che son gai

Di lor natura, son d'amor disciolti,

Però che 'l freddo lor spirito ammorta:

E 'l mio più d'amor porta;

Ché li dolzi pensier non mi son tolti

Né mi son dati per volta di tempo,

Ma donna li mi dà c'ha picciol tempo.

Passato hanno lor termine le fronde

Che trasse fuor la vertù d'Ariete

Per adornare il mondo, e morta è l'erba;

Ramo di foglia verde a noi s'asconde

Se non se in lauro, in pino o in abete

O in alcun che sua verdura serba;

E tanto è la stagion forte ed acerba,

C'ha morti li fioretti per le piagge,

Li quai non poten tollerar la brina:

E la crudele spina

Però Amor di cor non la mi tragge;

Per ch'io son fermo di portarla sempre

Ch'io sarò in vita, s'io vivesse sempre.

Versan le vene le fummifere acque

Per li vapor' che la terra ha nel ventre,

Che d'abisso li tira suso in alto;

Onde cammino al bel giorno mi piacque

Che ora è fatto rivo, e sarà mentre

Che durerà del verno il grande assalto;

La terra fa un suol che par di smalto,

E l'acqua morta si converte in vetro

Per la freddura che di fuor la serra:

E io de la mia guerra

Non son però tornato un passo a retro,

Né vo' tornar; ché se 'l martiro è dolce,

La morte de' passare ogni altro dolce.

Canzon, or che sarà di me ne l'altro

Dolce tempo novello, quando piove

Amore in terra da tutti li cieli,

Quando per questi geli

Amore è solo in me, e non altrove?

Saranne quello ch'è d'un uom di marmo,

Se in pargoletta fia per core un marmo.

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