Le rime XLIX

Doglia mi reca ne lo core ardire

A voler ch'è di veritate amico:

Però, donne, s'io dico

Parole quasi contra tutta gente,

Non vi maravigliate,

Ma conoscete il vil vostro disire;

Ché la beltà ch'Amore in voi consente,

A vertù solamente

Formata fu dal suo decreto antico,

Contra 'l qual voi fallate.

Io dico a voi che siete innamorate

Che, se vertute a noi

Fu data, e beltà a voi,

E a costui di due potere un fare,

Voi non dovreste amare

Ma coprir quanto di biltà v'è dato,

Poi che non c'è vertù, ch'era suo segno.

Lasso, a che dicer vegno?

Dico che bel disdegno

Sarebbe in donna, di ragion laudato,

Partir beltà da sé per suo commiato.

Omo da sé vertù fatto ha lontana:

Omo no, mala bestia ch'om simiglia.

O Deo, qual maraviglia

Voler cadere in servo di signore,

O ver di vita in morte.

Vertute, al suo fattor sempre sottana,

Lui obedisce e lui acquista onore,

Donne, tanto che Amore

La segna d'eccellente sua famiglia

Ne la beata corte:

Lietamente esce da le belle porte,

A la sua donna torna;

Lieta va e soggiorna,

Lietamente ovra suo gran vassallaggio;

Per lo corto viaggio

Conserva, adorna, accresce ciò che trova;

Morte repugna sì che lei non cura.

O cara ancella e pura,

Colt'hai nel ciel misura;

Tu sola fai segnore, e quest'è prova

Che tu se' possession che sempre giova.

Servo non di signor, ma di vil servo

Si fa chi da cotal serva si scosta.

Vedete quanto costa,

Se ragionate l'uno e l'altro danno,

A chi da lei si svia:

Questo servo signor tant'è protervo,

Che gli occhi ch'a la mente lume fanno,

Chiusi per lui si stanno,

Sì che gir ne convene a colui posta,

Ch'adocchia pur follia.

Ma perché lo meo dire util vi sia,

Discenderò del tutto

In parte ed in costrutto

Più lieve, sì che men grave s'intenda:

Ché rado sotto benda

Parola oscura giugne ad intelletto;

Per che parlar con voi si vole aperto:

Ma questo vo' per merto,

Per voi, non per me certo,

Ch'abbiate a vil ciascuno e a dispetto,

Ché simiglianza fa nascer diletto.

Chi è servo è come quello ch'è seguace

Ratto a segnore, e non sa dove vada,

Per dolorosa strada;

Come l'avaro seguitando avere,

Ch'a tutti segnoreggia.

Corre l'avaro, ma più fugge pace:

Oh mente cieca, che non pò vedere

Lo suo folle volere

Che 'l numero, ch'ognora a passar bada,

Che 'nfinito vaneggia.

Ecco giunta colei che ne pareggia:

Dimmi, che hai tu fatto,

Cieco avaro disfatto?

Rispondimi, se puoi, altro che "Nulla".

Maladetta tua culla,

Che lusingò cotanti sonni invano;

Maladetto lo tuo perduto pane,

Che non si perde al cane:

Ché da sera e da mane

Hai raunato e stretto ad ambo mano

Ciò che sì tosto si rifà lontano.

Come con dismisura si rauna,

Così con dismisura si distringe:

Questo è quello che pinge

Molti in servaggio; e s'alcun si difende,

Non è sanza gran briga.

Morte, che fai? che fai, fera Fortuna,

Che non solvete quel che non si spende

Se 'l fate, a cui si rende?

Non so, poscia che tal cerchio ne cinge

Che di là su ne riga.

Colpa è de la ragion che nol gastiga.

Se vol dire "I' son presa",

Ah com poca difesa

Mostra segnore a cui servo sormonta.

Qui si raddoppia l'onta,

Se ben si guarda là dov'io addito,

Falsi animali, a voi ed altrui crudi,

Che vedete gir nudi

Per colli e per paludi

Omini innanzi cui vizio è fuggito,

E voi tenete vil fango vestito.

Fassi dinanzi da l'avaro volto

Vertù, che i suoi nimici a pace invita,

Con matera pulita,

Per allettarlo a sé; ma poco vale,

Ché sempre fugge l'esca.

Poi che girato l'ha chiamando molto,

Gitta 'l pasto ver lui, tanto glien cale;

Ma quei non v'apre l'ale:

E se pur vene quand'ell'è partita,

Tanto par che li 'ncresca

Come ciò possa dar, sì che non esca

Dal benefizio loda.

I' vo' che ciascun m'oda:

Chi con tardare e chi con vana vista,

Chi con sembianza trista

Volge il donare in vender tanto caro

Quanto sa sol chi tal compera paga.

Volete udir se piaga?

Tanto chi prende smaga

Che 'l negar poscia non li pare amaro.

Così altrui e sé concia l'avaro.

Disvelato v'ho, donne, in alcun membro

La viltà de la gente che vi mira,

Perché l'aggiate in ira;

Ma troppo è più ancor quel che s'asconde

Perché a dicerne è lado.

In ciascun è di ciascun vizio assembro,

Per che amistà nel mondo si confonde:

Ché l'amorose fronde

Di radice di ben altro ben tira,

Poi sol simile è in grado.

Vedete come conchiudendo vado:

Che non dee creder quella

Cui par bene esser bella,

Esser amata da questi cotali;

Che se beltà tra i mali

Volemo annumerar, creder si pòne,

Chiamando amore appetito di fera.

Oh cotal donna pera

Che sua biltà dischiera

Da natural bontà per tal cagione,

E crede amor fuor d'orto di ragione.

Canzone, presso di qui è una donna

Ch'è del nostro paese;

Bella, saggia e cortese

La chiaman tutti, e neun se n'accorge

Quando suo nome porge,

Bianca, Giovanna, Contessa chiamando:

A costei te ne va chiusa ed onesta;

Prima con lei t'arresta,

Prima a lei manifesta

Quel che tu se' e quel per ch'io ti mando;

Poi seguirai secondo suo comando.

 

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