Le rime XLVI

Così nel mio parlar voglio esser aspro

Com'è ne li atti questa bella petra,

La quale ognora impetra

Maggior durezza e più natura cruda,

E veste sua persona d'un diaspro

Tal che per lui, o perch'ella s'arretra,

Non esce di faretra

Saetta che già mai la colga ignuda;

Ed ella ancide, e non val ch'om si chiuda

Né si dilunghi da' colpi mortali,

Che, com'avesser ali,

Giungono altrui e spezzan ciascun'arme:

Sì ch'io non so da lei né posso atarme.

Non trovo scudo ch'ella non mi spezzi

Né loco che dal suo viso m'asconda:

Ché, come fior di fronda,

Così de la mia mente tien la cima.

Cotanto del mio mal par che si prezzi

Quanto legno di mar che non lieva onda;

E 'l peso che m'affonda

è tal che non potrebbe adequar rima.

Ahi angosciosa e dispietata lima

Che sordamente la mia vita scemi,

Perché non ti ritemi

Sì di rodermi il core a scorza a scorza

Com'io di dire altrui chi ti dà forza?

Che più mi triema il cor qualora io penso

Di lei in parte ov'altri li occhi induca,

Per tema non traluca

Lo mio penser di fuor sì che si scopra,

Ch'io non fo de la morte, che ogni senso

Co li denti d'Amor già mi manduca:

Ciò è che 'l pensier bruca

La lor vertù sì che n'allenta l'opra.

E' m'ha percosso in terra, e stammi sopra

Con quella spada ond'elli ancise Dido,

Amore, a cui io grido

Merzé chiamando, e umilmente il priego:

Ed el d'ogni merzé par messo al niego.

Egli alza ad ora ad or la mano, e sfida

La debole mia vita, esto perverso,

Che disteso a riverso

Mi tiene in terra d'ogni guizzo stanco:

Allor mi surgon ne la mente strida;

E 'l sangue, ch'è per le vene disperso,

Fuggendo corre verso

Lo cor, che 'l chiama; ond'io rimango bianco.

Elli mi fiede sotto il braccio manco

Sì forte che 'l dolor nel cor rimbalza:

Allor dico: "S'elli alza

Un'altra volta, Morte m'avrà chiuso

Prima che 'l colpo sia disceso giuso".

Così vedess'io lui fender per mezzo

Lo core a la crudele che 'l mio squatra;

Poi non mi sarebb'atra

La morte, ov'io per sua bellezza corro:

Ché tanto dà nel sol quanto nel rezzo

Questa scherana micidiale e latra.

Omè, perché non latra

Per me, com'io per lei, nel caldo borro?

Ché tosto griderei: "Io vi soccorro";

E fare'l volentier, sì come quelli

Che nei biondi capelli

Ch'Amor per consumarmi increspa e dora

Metterei mano, e piacere'le allora.

S'io avessi le belle trecce prese,

Che fatte son per me scudiscio e ferza,

Pigliandole anzi terza,

Con esse passerei vespero e squille:

E non sarei pietoso né cortese,

Anzi farei com'orso quando scherza;

E se Amor me ne sferza,

Io mi vendicherei di più di mille.

Ancor ne li occhi, ond'escon le faville

Che m'infiammano il cor, ch'io porto anciso,

Guarderei presso e fiso,

Per vendicar lo fuggir che mi face;

E poi le renderei con amor pace.

Canzon, vattene dritto a quella donna

Che m'ha ferito il core e che m'invola

Quello ond'io ho più gola,

E dàlle per lo cor d'una saetta,

Ché bell'onor s'acquista in far vendetta.

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